Il Divieto di comunicazione istituzionale
Una delle questioni sollevate dalla legge 22 febbraio 2000, n. 28, recante “Disposizioni sulla parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali” concerne il divieto per tutte le amministrazioni pubbliche, per il periodo che si estende dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto, “di svolgere attività di comunicazione, ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace svolgimento delle proprie funzioni”. Il divieto, sancito dall’art.9 della legge n. 28/2000,copre ogni forma di propaganda con qualsiasi tecnica e a qualsiasi scopo effettuata. In base ad esso, le amministrazioni devono astenersi non solo dalle manifestazioni volte ad appoggiare le liste o i candidati impegnati nel confronto elettorale (propaganda elettorale in forma diretta), ma anche da tutti gli interventi che, avendo come finalità principale la promozione dell’immagine politica o dell’attività istituzionale dell’ente, favoriscano una rappresentazione positiva o negativa di una determinata opzione elettorale (propaganda elettorale in forma mediata).
Attraverso il divieto di propaganda istituzionale si realizza un’ipotesi di applicazione concreta del principio di imparzialità dell’agire amministrativo stabilito dall’art.97 della Costituzione, la cui importanza è particolarmente evidente nel periodo immediatamente precedente la consultazione elettorale.
La ratio della norma è quella di prevenire i rischi di interferenza e le distorsioni che la comunicazione degli enti pubblici potrebbe indurre rispetto ad una libera consultazione elettorale. Si intende così evitare che l’attività di comunicazione realizzata dalle amministrazioni durante questo periodo “sensibile” possa sovrapporsi ed interagire con l’attività propagandistica svolta dalle liste e dai candidati, dando vita ad una forma parallela di campagna elettorale, sottratta a qualsiasi tipo di regolamentazione. Secondariamente, il divieto è diretto ad impedire il consolidarsi di un vantaggio elettorale a favore di politici uscenti nei confronti degli sfidanti, date le innumerevoli facilitazioni, in termini di comunicazione e di visibilità, di cui i primi dispongono in via esclusiva e gratuita.
Nondimeno, non pare realistico né desiderabile che nell’intero periodo di campagna elettorale ufficiale – ossia tra i 70 e 45 gg. prima della data delle elezioni – l’attività di comunicazione dell’amministrazione pubblica debba arrestarsi completamente.
Non è realistico perché, come è noto, le attività di comunicazione svolte dalle amministrazioni sono multiformi e atipiche, e ritenere di poterle impedire in toto attraverso un divieto formale di comunicazione politica appare ingenuo, oltre che inefficace. Interviste, conferenze stampa, presentazioni di iniziative e realizzazioni, pubblicazioni di risultati della gestione, possono all’occasione trasformarsi in altrettante forme surrettizie e difficilmente controllabili di comunicazione politica, non meno efficaci di quelle ufficiali. Né un simile effetto pare desiderabile, dal momento che verrebbe lesa una delle finalità istituzionali delle amministrazioni, consistente nella comunicazione cosiddetta di “utilità sociale”, effettuata nell’interesse dei cittadini e per garantire la trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
Se questo fosse l’intendimento del legislatore, si rischierebbe di ostacolare la divulgazione di informazioni aggiornate e facilmente accessibili a tutti, riguardanti l’attività pubblica, la normazione, i servizi, le strutture e il loro uso da parte degli interessati. Attività che, senza dubbio, costituisce una forma di servizio pubblico a favore dei cittadini, di cui è la stessa legislazione a farsi carico: si pensi, in generale, all’attività svolta nelle pubbliche amministrazioni dagli uffici per le relazioni con il pubblico, con finalità di informazione generale a favore dei cittadini. O, ancora più in particolare si pensi all’art. 1 della legge 7 giugno 2000, n. 150 di cui si prevede un’attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni, diretta a:
· illustrare e favorire la conoscenza delle disposizioni normative, al fine di facilitarne l’applicazione;
· favorire l’accesso ai servizi pubblici, promuovendone la conoscenza;
· promuovere conoscenze allargate e approfondite su rilevanti temi di interesse pubblico e sociale
Nell’interpretare la scarna disposizione che impone il divieto di propaganda istituzionale nei (circa) due mesi precedenti le elezioni non si potrà trascurare la necessità di tutelare, contestualmente, altri interessi collegati al servizio pubblico di informazione svolto dalle amministrazioni a favore della collettività, che a tale divieto si contrappongono e con esso interagiscono.
Il punto centrale della questione consiste pertanto nel tracciare una distinzione sufficientemente chiara e apprezzabile tra l’attività di propaganda e l’attività di formazione svolta dalle amministrazioni nel periodo di campagna elettorale. Questo compito, come rileva giustamente la Corte di Cassazione, si presenta “agevole in astratto”, ma irto di difficoltà per quanto riguarda i casi limite che la realtà spesso offre.
La comunicazione istituzionale degli enti locali
Va subito precisato che la problematica appare simile per le diverse forme di consultazione elettorale che si svolgono all’interno del nostro Paese, risultando sostanzialmente analoga la disciplina che regola le elezioni politiche, europee, regionali, introdotta dalla legge n. 28/2000. nondimeno, alla introduzione della nuova normativa per la par condicio sembra essere sopravissuta una disciplina “speciale” per l’attività di propaganda istituzionale effettuata dagli enti locali, la cui regolamentazione continua oggi ad essere sancita dall’art.29, commi 5 e 6, della legge n.81/93. Occorre, pertanto, svolgere un discorso articolato che tenga conto delle due distinte tipologie elettorali.
L’analisi della legge n.28 del 2000 contiene una precisazione che mitiga sensibilmente il divieto di comunicazione istituzionale formulato per tutte le amministrazioni pubbliche (art. 9 comma 1). Un’analoga disposizione, tuttavia, non compare nella disciplina speciale per gli enti locali (art.29, comma 6 legge 81/93).
A questo proposito, appare assai peculiare che la legge n. 28/2000 si preoccupi di precisare puntualmente le abrogazioni espresse e le modificazioni prodotte nei confronti della legge n.515/93, e, contestualmente, lasci immutata la disciplina contenuta nella legge n.81/93.
Per un verso, caratterizzandosi la legge n.28/2000 per la sua vocazione generale, contrapposta alla natura speciale delle disposizioni contenute negli artt.28-30 della legge per l’elezione diretta del sindaco, l’interprete non risulta affatto agevolato nello stabilire l’ordine dio prevalenza tra fonti nella successione di una legge generale ad una precedente legge speciale. Né per altro verso, risulta comprensibile la ragione ultima per cui il legislatore viene indirettamente ad estendere alle lezioni locali gran parte della disciplina introdotta per le consultazioni nazionali, attraverso la modificazione di alcuni articolai della Legge n. 515/93 ad esse riferiti, ma trascura d’altra parte di equiparare le due discipline sotto il profilo della comunicazione istituzionale svolta dalla pubbliche amministrazioni.
In relazione a quest’ultimo aspetto, la differenza non è di poco conto: l’art.9 della legge n. 28/2000, infatti, dopo aver formulato il divieto ad ampio spettro fissato per le amministrazioni locali, sopra ricordato, sancisce un’importante deroga per le attività di comunicazione “effettuate in forma impersonale e indispensabili per l’efficace assolvimento delle funzioni proprie delle amministrazioni pubbliche”. Si tratta di una deroga che testimonia una precisa volontà del legislatore di non ostacolare il regolare e doveroso servizio di comunicazione di utilità sociale.
Poiché per il Ministero dell’Interno la legge 81/93, all’art. 29, è stata abrogata implicitamente dalla legge 28/2000, quest’ultima si applica anche agli Enti locali.
Ai sensi dell’art.9, sopra citato, il divieto di comunicazione istituzionale appare circoscritto alle sole forme di comunicazione sospette di strumentalizzazione propagandistica a favore dei candidati e delle liste in lizza nel confronto elettorale (principio dell’identificabilità), con esclusione delle attività di informazione che devono necessariamente accompagnare le funzioni, le iniziative, i servizi realizzati dalle pubbliche amministrazioni al fine di garantirne l’operatività (principio di effettività).
In proposito, una circolare del Ministero dell?interno (14 aprile 1999, n.64) emanata in vista delle elezioni amministrative del giugno 1999, precisa la portata del divieto di propaganda istituzionale, facendovi rientrare “solo le attività di propaganda ricollegabili direttamente o indirettamente a qualsivoglia attività amministrativa”. In questo modo si chiarisce, anzitutto, l’impossibilità di applicare la disciplina dell’art. 9 della legge 28/2000 alle attività propagandistiche svolte in proprio, in via diretta, dai diversi componenti degli organi istituzionali – i quali possono naturalmente agire come qualunque altro soggetto partecipante alla competizione elettorale e non in veste ufficiale di rappresentanti dell’ente - , restando affidata la disciplina di questi comportamenti alle altre disposizioni delle leggi nn.28/2000 e 515/93 che regolano la competizione elettorale tra i diversi soggetti partecipanti alla competizione politica.
Inoltre, a precisazione dei criteri così stabiliti, che, tutto sommato, restano ancora indeterminati ai fini di un’applicazione concreta, può essere ricordata anche la previsione di cui all’art. 1 comma 5 della legge n. 515/93 – che sopravvive all’entrata in vigore della legge n. 28/2000 e risulta applicabile, per espressa disposizione, anche alle elezioni locali -, la quale limita, a decorrere dal trentesimo giorno precedente la data delle votazioni, la presenza di candidati, esponenti di partiti e movimenti politici, membri del Governo, delle Giunte e consigli regionali e degli Enti Locali nelle trasmissioni informative riconducibili ad una testata giornalistica “esclusivamente alla esigenza di garantire la completezza e l’imparzialità dell’informazione”. Tale presenza è poi vietata in tutte le altre trasmissioni (di intrattenimento, sportive, etc.)
La limitazione del divieto alle sole trasmissioni radiotelevisive è spiegabile con i rischi di spetacolarizzazione della campagna elettorale che, più di ogni altro, si ricollegano a questo mezzo di comunicazione.
Un ulteriore chiarimento circa la portata del divieto proviene dalla dottrina pubblicistica, laddove introduce una opportuna distinzione tra la cosiddetta comunicazione di servizio e la comunicazione di immagine: la prima si caratterizza per il favor e l’utilità rispetto all’interesse degli amministrati, mentre la seconda mira in primo luogo a procurare un vantaggio all’istituzione che la utilizza e non ai cittadini cui è diretta.
Estrapolando tali concetti e applicandoli alla fattispecie qui in esame, può ritenersi che alla nozione di “comunicazione di servizio” siamo ascrivibili tutte le attività informative relative al funzionalmento degli uffici, alla normativa vigente, ai servizi erogati nel territorio, che restano ammesse nel periodo pre-elettorale; mentre nel concetto di “comunicazione immagine” ricadrebbero tutte le attività d’informazione volte a fornire una rappresentazione positiva dell’amministrazione o dei suoi organi, allo scopo di legittimare l’esistenza e/o attività o di promuoverne la riconferma, le quali sono invece da considerare vietate per evitare possibili distorsioni nella competizione politica che precede le elezioni.
Le attività possibili
Sulla base di tali premesse si ritiene che Sindaci, Presidenti di provincia e di Comunità montana e relativi Assessori,possano svolgere le seguenti attività:
· tutte le attività di “comunicazione di servizio” ascrivibili al funzionamento degli uffici, alla normativa vigente, ai servizi erogati nel territorio che restano ammesse nel periodo pre-elettorale, sottoscrivendo i relativi atti; l’apposizione della firma in calce ad un atto non costituisce di per sé stessa una “personalizzazione” dell’attività di comunicazione ma solo di perfezionamento necessario all’atto stesso;
· pubblicazioni anche periodiche dell’Amministrazione in cui vengano elencati in maniera asettica le attività svolte dall’Amministrazione stessa, riferite ai diversi settori o porzioni di territorio;
· partecipare a tutte le iniziative convocate da altri soggetti, siano essi istituzioni, associazioni di varia natura, in quanto il divieto si riferisce alle iniziative di comunicazione promosse dalla propria Amministrazione;
· presenziare a manifestazioni legate a festività e solennità civili e/o religiose locali o nazionali dove la presenza di rappresentanti dell’Amministrazione è prevista o dal protocollo o dalla prassi;
· partecipare, ovviamente, alle iniziative politiche del proprio partito e della propria coalizione politica.
Le attività vietate
Tutte le attività d’informazione volte a fornire una rappresentazione positiva dell’amministrazione o dei suoi organi, allo scopo di legittimarne l’esistenza e/o l’attività o di promuoverne la riconferma, rientrano nel concetto di “comunicazione di immagine” e sono pertanto da considerarsi vietate per evitare possibili distorsioni nella competizione politica che precede. Si ritiene pertanto che siano vietati nel periodo pre-elettorale, i seguenti comportamenti da parte dei pubblici amministratori, in quanto tali:
· manifestazioni volte ad appoggiare le liste o i candidati impegnati nel confronto elettorale;
· iniziative od interventi, che abbiano come finalità principale la promozione dell’immagine politica o dell’attività istituzionale dell’ente, favorendo una rappresentazione positiva o negativa di una determinata opzione elettorale ed in particolare:
o iniziative relative al cosiddetto “bilancio di fine mandato” se gestite direttamente dagli Amministratori;
o lettere ai cittadini elettori, su carta intestata dell’Amministrazione, di autovalutazione o ringraziamento od anche, nel caso di iniziative ordinariamente previste, qualora nelle comunicazioni, il merito delle stesse venga riferito direttamente all’attività non dell’Ente ma degli amministratori stessi, cioè risultino personalizzate;
o trasmissioni video o interventi sulla stampa di identico contenuto;
o convegni, conferenze stampa etc., organizzati dall’Amministrazione di appartenenza, su tematiche amministrative politiche.
Periodo di vigenza del divieto
Il periodo indicato dall’art.9 per la presente tornata elettorale che prevede, oltre le elezioni amministrative, anche quelle europee, decorre dalla data di pubblicazione del manifesto del Sindaco di convocazione di queste ultime e termina con le elezioni stesse.
Per concludere, ciò che la legge intende scongiurare sono le “occasioni” di propaganda istituzionale, non ogni tipo di comunicazione culturale o politica da parte dell’ente pubblico. La diffusione di informazioni di stretta utilità sociale integra la realizzazione di un servizio pubblico la cui continuità non può venire meno nel periodo che precede la Consultazione elettorale.
Rovigo, lunedì 3 maggio 2004.
Dott. Stefano Padoan
Responsabile Qualità e Ufficio Relazioni con il Pubblico